Un sogno astruso
sogno astruso per imparare la solidarietà e l'impegno

Ho fatto uno strano sogno.

C’erano un po’ tutte le persone a cui voglio bene: il mio ragazzo, i miei genitori, e perfino i miei zii.
Il mondo era minacciato da una presenza oscura, un mostro terribile e innominato, che a più riprese inviava i suoi orribili seguaci a terrorizzare l’umanità.
Dopo una lotta oscura e paurosa con un pipistrello gigante, fronteggiato con coraggio da un uccello elettrico e un lupo possente, la scena del sogno si sposta.

Siamo in una specie di albergo e io e il mio ragazzo entriamo in un grande salone con tavoli tutti apparecchiati.
Sembra che stia per svolgersi un ricevimento, ma in realtà è la preparazione alla lotta, o meglio: allo spettacolo.
Il mio ragazzo è colui che dovrà salvare l’umanità dal mostro. E tutti gli altri sono arrivati per assistere. Io compresa.
“Un tavolo per due?”, chiede la cameriera, niente affatto turbata. “Per uno”, rispondo con voce lugubre e lei ammutolisce. In tutto il locale iniziano i sussurri, gli sguardi curiosi: è lui, è l’eroe, è arrivato!
Io stessa mi siedo, capotavola, e a fianco e di fronte a me ci sono i miei genitori e i miei zii.
Sembrano tranquilli, addirittura scherzano. Mia mamma nota le mie lacrime a stento trattenute e mi schernisce. Ricordo che le rispondo male, poi sorrido per sdrammatizzare.
Non so se lo facciano per non farmi pensare che una delle persone più importanti della mia vita sta per affrontare un pericolo mortale. Che potremmo morire tutti, ma soprattutto potrebbe morire lui, l’unico che ha deciso di fare qualcosa, mentre gli altri mangiano e guardano. 

Il sogno si chiude così, ma mi ha lasciato un senso di amarezza, di apprensione. 
Ripensandoci ho provato a coglierne un significato che mi sfuggiva e sono giunta a una conclusione, non so quanto veritiera o fedele, ma pur sempre una conclusione. 
Quel mostro non si può sconfiggere inviando altri. Non si può annientare stando seduti a guardare. 
Quel mostro riguarda me, è anche parte di me, e ogni volta che scelgo di ignorarlo sono anche un po’ io, quel mostro. 
L’apprensione dell’attesa, l’amarezza e l’atroce dolore di sapere che potremmo perdere chi amiamo ci mandano un messaggio, dal sogno alla realtà.
Ci dicono che dobbiamo alzarci anche noi a lottare, che non possiamo ordinare un tavolo per uno e poi mandare altri a risolvere ciò che ci affligge. 

Perché? Perché non è giusto e poi, semplicemente, perché non è sufficiente.
Se non ci alziamo e lottiamo anche noi, in prima persona, con le nostre, seppur poche, energie, quel mostro non potrà mai essere sconfitto e continuerà a tormentarci col rimpianto di aver fatto del male, per pigrizia e codardia, a chi intorno a noi meritava più ascolto e sostegno. Anche se ci sembrava – e forse era – il più forte. 

Anche l’eroe ha bisogno di una mano, di più mani. E che non servano soltanto ad applaudirlo.

 


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In tutti gli altri casi, nella vita di ogni giorno, sii gentile. È quanto di più grande si possa fare nel nostro piccolo. 

Alessia

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