Minimalismo, produttività e perfezionismo: parliamone!

Dopo Freud possiamo permetterci di essere irrazionali, ma non disordinati!

Riflessione su produttività e minimalismo, perfezionismo e altri miti da sfatare delle filosofie contemporanee

Essere produttivi è l’imperativo categorico del Ventunesimo secolo. Tralasciando la citazione del buon vecchio Sigmund (Freud), quando parliamo di produttività, minimalismo e perfezionismo ci stiamo davvero riferendo a filosofie e miti? Oppure si tratta soltanto di mode passeggere, spesso al servizio di tecniche di Marketing strumentalizzate più o meno consapevolmente da chi le diffonde?

Come assunto generale, è bene ricordarsi di “storcere preventivamente il naso” di fronte a tutti i “paroloni” che, a volte con troppa superficialità, riempono la bocca e la tastiera di siti e Social Network.
Inoltre non fa mai male rammentarsi come qualsiasi assunto, credenza o metodo sia, in ultima analisi, relativo e arbitrario.
In altre parole, difficilmente un termine astratto di natura troppo generica (come, ad esempio, “minimalismo”) potrà adeguarsi perfettamente ad ogni singola situazione, a meno che, proprio come avviene nell’Oroscopo, tale concetto non sia così generico e vago da prestarsi a qualsiasi applicazione nel quotidiano.

Si può quindi essere amanti di uno stile Minimal nel vestire, nell’arredare, perfino minimal nel design di un sito web (il fenomeno si chiama, con un termine preso in prestito dall’architettura, “Brutalismo“).

Ma che cosa significa essere minimalista in generale? Cosa vuol dire adottare minimalismo e produttività come stili di vita, applicandone la “filosofia” a ogni campo del quotidiano?


Passando oltre, soffermiamoci un attimo sul concetto di “produttività“.

minimalismo e produttività

 

Sull’esigenza di prendersi ogni tanto un momento di lentezza ho già parlato qui, ma è opportuno sottolineare come, in sé, il termine “produttività” sia vuoto di significato.
La domanda che affiora alla mente è: in rapporto a che cosa possiamo definirci produttivi?

In rapporto alle nostre capacità, ai risultati ottenuti (da noi e dagli altri), in base al ritorno economico, al valore contenutistico prodotto, a un apporto originale e positivo all’interno della società?
Produttivi rispetto a che cosa? Questo, è, per me, il vero quesito che dovremmo porci, per renderci conto di come produttività e minimalismo non siano nient’altro che parole vuote, categorie di significato da utilizzare con maggiore accortezza e da specificare nei contesti concreti in cui vengono applicate.


Veniamo, infine, al terzo concetto, quello di perfezionismo, un termine che sembrerebbe riferirsi a una qualità, ma che, negli ultimi tempi, va ad assumere sempre più una connotazione negativa.
Il perfezionismo, a ben guardare, è un ostacolo anziché un valore, un freno che ci impedisce di esprimere al meglio le nostre potenzialità, spingendoci a un’ossessiva messa a punto dei nostri lavori. Spesso è ciò che ci blocca nell’esporci agli altri, nel lanciarci in un progetto personale o nel condividere un’opinione. 

Un eccesso di pignoleria certamente deleterio, eppure non me la sento di prendermela a priori con il buon vecchio labor limae, soprattutto in un mondo dove dominano sovrane approssimazione e parzialità. 

Che cosa hanno in comune tutti questi termini e perché li ho analizzati all’interno di uno stesso articolo?

La risposta è qui: la mania del controllo, o meglio l’illusione. 

Ci illudiamo di poter decidere delle nostre vite, del modo più corretto per portare avanti la nostra quotidianità, programmandola e definendola nel dettaglio.
Poi, di fronte all’imprevisto o all’inevitabile “fallimento” dei nostri buoni propositi ci sentiamo afflitti, delusi e insoddisfatti.
Avidi, allora, cerchiamo una nuova “filosofia”, un nuovo metodo, strumento, meccanismo che ci permetta di catalogare e regolare la nostra esperienza nel mondo.

Vi pongo un quesito:

E se non esistesse, per noi, il giusto metodo? 

Se non ci fosse una via da seguire, un concetto sempre vero, una filosofia applicabile sempre e universalmente a ogni campo del sapere e dell’agire? 

Ostinatamente la ricerchiamo, ma costantemente rimaniamo insoddisfatti, là dove potremmo, molto più semplicemente, rinunciare alla mania del controllo a tutti i costi. 

Questo implicherebbe, però, essere pronti ad accettare anche un’altra verità, forse più ostica e complicata: la consapevolezza di dovere, volenti o nolenti, pensare e decidere con la propria testa

 

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