Le cose che scrivo
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Foto di Stefania Gambella


Le cose che scrivo mi dimenticano. 
Quando oggi le tocco col senno di ieri si disintegrano e si perdono nel vento dei ricordi, riflettono di me un’immagine sbiadita. Sono io? Non sono io? Sono io nel tempo che fui, ma sicuramente sono anche qualcos’altro. 

Le cose che scrivo rimangono. Incustodite. Tanto a lungo da fuggire via e ritrovare tra le righe d’inchiostro pagine bianche di riflessioni che sanguinano. Non parlano più o sono io a non sentire? Mi rimandano l’eco esausta di un passato in cui mi dis-conosco. 

Forse palpitano – le cose che scrivo – ancora sospirano sotto macerie di esistenza. Eppure così deboli, così lontane. A chi possono arrivare ancora, se, mute, a malapena sussurrano all’orecchio che per la prima volta le sentì? 

Le cose che scrivo sono io, non sono io. Sono sempre più di me e mai abbastanza; l’espressione distratta del passante quando arriva il treno, la delusione d’aprire la porta di casa e non trovare più casa, la saggezza di non aspettarsi più l’ovvio, il banale. 
Sono l’attesa e sono l’arrivo, sono l’approdo in un porto che non trova mai stazione. 

Le cose che scrivo rimangono come braci d’un sentimento di combustione. E sono l’acqua che vivificò e rese feconda la terra dell’Io. Lungo la deserta, inaridita traversata dell’essere. 

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