Tutto quello che c’era era un manto scarlatto adagiato con grazia su di un comò consunto.
Sulla poltrona fonda dimoravano i due e, fitti fitti stretti stretti, parlavano e baciavano, labbra a labbra, cuore a cuore. Scoppiettavano, strepitavano, le fiamme. E il sofisma moltiplicava il piacere. Ogni luna cullava i suoi amanti e la loro erano occhi perlacei così innaturali, e belli.
E lui beveva vino rosso. Pittoresco.
E lei rideva come un sonaglio. Delizia.
Tutte le statuette d’argilla, bontà di pessimo gusto, e di vetro, applaudivano a quella scena. Magica, come recitata, da tanto era bella. Lei snella e agile, lui forte e asciutto. Suvvia, era perfetto! Fra vino, risa, calore, baci e scherzi…
Fu allora che bussò.
Ed era talmente in contrasto con tutto, che faceva ribrezzo.
Nero nero con un manto scarlatto e aveva pelle gialla e baffi scuri scuri e occhi come un demone, ci giurerei, però erano nascosti da un cappello grande. Sproporzionato. Enorme. Un grande gran cappello. L’ho detto? Era gigante!
“Dai provàtelo!”. Tuonò gentilmente.
E lui lo indossò, noncurante.
E lei lo indossò, sorridente.
Tutto quello che c’era era un manto scarlatto adagiato con grazia su di un comò consunto.
Sulla poltrona fonda dimorava un gran cappello.